COLLABORAZIONE Pastorale di Cormòns - Parrocchie di Borgnano, Brazzano, Dolegna del Collio e Cormòns
A 3 anni dalla morte di mons. Trevisan vogliamo ricordarlo con l'intervista che fece Claudio Femia in occasione del 60° anno di sacerdozio.
Questo articolo offre uno spaccato genuino e vivido della robusta personalità di Mons. Trevisan e siamo convinti, nel leggerlo, che molta della gente che lo ha conosciuto a stento potrà non commuoversi.
Martedì prossimo, 3 giugno 2003, la comunità cormonese festeggerà i 60 anni di sacerdozio di mons. Giuseppe Trevisan. Alle 19 nel duomo di Sant’Adalberto ci sarà la solenne concelebrazione liturgica per “don Pino”, villessino di nascita ma diventato a tutti gli effetti cormonese. Di questi venti lustri di attività pastorale, infatti, mons. Trevisan per quasi 40 (38 per la precisione, dal 1955 al 1993) ha guidato la parrocchia della cittadina collinare dove continua a collaborare nell’attività ministeriale celebrando ogni mattina la messa delle 8 al santuario di Rosa Mistica. E molti, ancora, si affidano a lui per un consiglio, lo scambio di un parere, costituendo la memoria storica degli ultimi cinquant’anni di vita cormonese. E in occasione del prestigioso traguardo siamo andati a trovarlo anche noi, per farci raccontare, a ruota libera, la sua vita sacerdotale, e i suoi ricordi cormonesi.
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“Proprio qualche giorno fa mi hanno fermato per strada e, parafrasando una poesia, mi hanno invitato a cambiare cognome: da “trevisan” a “cormonese”. Mons. Trevisan non nasconde di sentirsi cormonese a tutti gli effetti, d’altra parte sono ormai quasi cinquant’anni che opera e vive ai piedi del Quarin.
Nato il 9 settembre del 1919 in quel di Villesse, “da padre operaio” sottolinea più volte per marcare la sua estrazione sociale che inciderà sulle sue prese di posizioni, l’allora sacerdote don Giuseppe Trevisan viene consacrato, appunto, il 3 giugno del 1943. “Dopo la prima messa – racconta mons. Trevisan – sono inviato come cappellano a Idria, nella situazione drammatica di quelle terre di confine in quella fase della guerra: la destituzione di Mussolini e la resa dell’Italia con l’ordine di evacuazione delle truppe italiane, l’occupazione tedesca con la lotta partigiana. Si può capire in che situazione noi preti italiani operavamo, ma che comunque è stata utilissima per la crescita personale”. L’esperienza, seppur breve, di Idria consentirà a mons. Trevisan un rapporto particolarmente favorevole con la comunità slovena sia di là che di qua del confine: proprio mentre parliamo lo chiama al telefono un amico di Circhina e il 6 giugno prossimo è invitato oltreconfine con il vescovo di Capodistria dove festeggerà anche con la comunità slovena i suoi sessant’anni di sacerdozio a riconoscenza dei molti incontri e prediche effettuati in quei paesi.
Un fatto quasi accidentale fa rientrare in Italia mons. Trevisan: “E’ successo che verso il novembre del ’43 il parroco di Terzo d’Aquileia e i due cappellani si intossicarono mangiando del formaggio infettato, il parroco e un cappellano poi moriranno, e il vescovo mandò me e don Miniussi a Cervignano per prestare l’assistenza spirituale in quelle parrocchie. Non passa però neanche un anno che l’allora vescovo mons. Margotti decide di inviarmi a Capriva dove il parroco don Viola è molto malato: il mandato ufficiale è quello di cappellano delle suore Orsoline di Capriva, per la gran parte slovene, ma quello sostanziale è quello di reggere la parrocchia”. Ed è qui che inizia la vera vita da parroco per mons. Trevisan: all’attività pastorale con la creazione del movimento giovanile, “che dura ancora oggi, un’anticipazione dell’Azione Cattolica, che si dedica non solo al consiglio parrocchiale ma anche a quello comunale”. La nomina formale a parroco di Capriva giunge solo nel novembre del 1954 dal vescovo mons. Ambrosi e, curiosamente, praticamente a fine corsa. E’ il 1955 e mons. Trevisan è a Luino per gli esercizi spirituali e lì lo raggiunge la telefonata del vescovo che gli comunica il trasferimento alla guida della parrocchia cormonese.
“La notizia mi turbò – dice mons. Trevisan – per il fatto che la nomina a parroco di Capriva era giunta solo da qualche mese ma soprattutto perché a Cormòns andavo a sostituire don Rino Cocolin, il futuro vescovo, che ben operava (era dal ’47 a Cormòns) ed era ben voluto dalla città. Io stesso appoggiai la protesta verso il vescovo dei cormonesi che frequentavano la parrocchia in favore di don Rino ma mons. Ambrosi fu irremovibile. C’è da dire che mi sorprese molto il fatto che don Rino è sembrato restio a prendere la guida della comunità cormonese, un mistero che venne in parte svelato lo scorso anno dal cugino don Silvano che lesse una pagina del diario di don Rino il quale si diceva molto deluso dalla gioventù di Cormòns e dove presagiva le difficoltà del sacerdote che avrebbe preso in mano la guida della parrocchia”.
“Lei non vale nemmeno un tacco di don Rino” è stato questo uno dei primi messaggi di “benvenuto”, racconta mons. Trevisan, rivoltomi sul sagrato del duomo al mio arrivo a Cormòns. Ma quelle stessa persona, assieme a molte altre, diventò poi uno dei miei principali collaboratori”. Una delle prime attenzioni di mons. Trevisan nella cittadina collinare fu alla “situazione sociale” della parrocchia: “era un mondo medioevale dove i coloni della Chiesa non solo lavoravano i campi, ben 300, ma facevano anche i servitori nella casa dei sacerdoti. Una situazione che per me, figlio di un operaio del cantiere, era insopportabile. Così mi impegnai per la vendita agli stessi coloni di questi possedimenti, un’alienazione che per la verità divenne una svendita per l’eccessiva bontà d’arcivescovo mons. Cocolin. Comunque gli introiti furono dirottati per la costruzione del nuovo ricreatorio anche se in parte furono poi serviti per la sistemazione di alcune chiese danneggiate, nel frattempo, dal terremoto del 1976”.
Cambiava intanto la società. “L’avvento della televisione, ricorda mons. Trevisan, cambiò in modo radicale gli usi e le abitudini; portò, ad esempio, alla progressiva chiusura del cinema parrocchiale. Ma incisero anche le trasformazioni sociali: ricordo, ad esempio, che la messa delle 6 era gremita di gente, dei contadini che poi andavano ai lavori dei campi. Abitudini che mutarono e che determinarono anche il mutare dell’orario delle messe”. Ed era anche una “lotta” per rubar spazio all’ideologia comunista allora in aperto, radicale contrasto con il cattolicesimo: “nacque per questo la messa del fanciullo delle 9, ora delle 9.30, per accogliere tutti gli adolescenti, anche delle famiglie che si professavano comuniste”. E nacquero così anche altre iniziative, accanto ad altre già radicate, come l’attività corale, le recite, l’azione cattolica, tutte tese ad avvicinare i giovani. “E devo dire, dice mons. Trevisan, che una delle maggiori soddisfazioni è stato l’insegnamento alle scuole medie e professionali: un mezzo che ho sempre ritenuto essenziale, più che la benedizione delle case, per incontrare i giovani e attraverso loro le famiglie; e ancor oggi, a conferma di ciò, c’è chi si ricorda di quei fecondi rapporti”. L’attività pastorale, insomma, si mischiava inevitabilmente con l’attività civile, le iniziative parrocchiali non potevano non andare oltre i connotati religiosi. E mons. Trevisan, a Capriva come a Cormòns, non si sottrasse all’impegno civile per favorire i cattolici nell’amministrazione pubblica ma anche “aprire”, agli inizi degli anni ‘90 alla collaborazione con gli ex comunisti.
E le delusioni, quali le insoddisfazioni in tanti anni di vita cormonese? “Nessuna in modo particolare, risponde deciso mons. Trevisan, perché per carattere ritengo di essere un uomo di coraggio, che non si è mai perso d’animo di fronte alle delusioni, che, anzi, bisogna vivere per dare coraggio, per aiutare, essere ottimisti come San Filippo Neri, uno dei patroni della città, la cui ricorrenza cade in questi giorni”. Detto da un quasi ottantaquattrenne c’è da crederci.
Auguri, Monsignore!
Martedì prossimo, 3 giugno 2003, la comunità cormonese festeggerà i 60 anni di sacerdozio di mons. Giuseppe Trevisan. Alle 19 nel duomo di Sant’Adalberto ci sarà la solenne concelebrazione liturgica per “don Pino”, villessino di nascita ma diventato a tutti gli effetti cormonese. Di questi venti lustri di attività pastorale, infatti, mons. Trevisan per quasi 40 (38 per la precisione, dal 1955 al 1993) ha guidato la parrocchia della cittadina collinare dove continua a collaborare nell’attività ministeriale celebrando ogni mattina la messa delle 8 al santuario di Rosa Mistica. E molti, ancora, si affidano a lui per un consiglio, lo scambio di un parere, costituendo la memoria storica degli ultimi cinquant’anni di vita cormonese. E in occasione del prestigioso traguardo siamo andati a trovarlo anche noi, per farci raccontare, a ruota libera, la sua vita sacerdotale, e i suoi ricordi cormonesi.
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