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SCONTRI ETNICI NEL SUD DEL PAESE: 4 MORTI A GAOUA

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Si riporta l'articolo di Marta Sodano pubblicato sul n. 3 del 3 settembre 2012 del "Foglio di Informazione & Collegamento con la Realtà burkinabè":

Tra il 12 e il 16 agosto la città di Gaoua è stata scossa da una serie di eventi che hanno generato forte preoccupazione. Tutto è iniziato con la morte di un ragazzino di etnia Dagara. Morte che ha fatto scattare una vendetta per dei conflitti irrisolti tra i gruppi di etnia Peul, Dagara e Mossi.

Domenica 12 agosto, è mattina e a Tonkar, villaggio a cinque chilometri dalla città di Gaoua, nel sud ovest del Burkina, Francis Kambou viene mandato al mercato assieme alla sorella a vendere capre e galline. Il piccolo Francis ha 12 anni e la vendita delle capre servirà a pagare il suo prossimo anno scolastico. Sulla sua bicicletta, Francis viene fermato da un uomo che vuole comprare le capre, ma che dice di non avere i soldi con sé e lo invita a seguirlo per recuperare il denaro. Da quel momento di Francis non si hanno più notizie. Al villaggio lo attendono invano e alla sera fanno dunque partire delle ricerche. Il giorno seguente viene ritrovata la bici. Il martedì viene ritrovato il corpo del ragazzo. È mutilato e in stato di putrefazione. La gente è inorridita e sconvolta.

C’è un’immediata rivolta della popolazione, che non riesce a rimanere indifferente di fronte a tali barbarie, e che sa non potrà contare su un veloce intervento della giustizia ordinaria. La comunità Peul viene immediatamente presa di mira perché, secondo la descrizione della sorellina della vittima, l'uomo che ha portato via suo fratello era di quell’etnia, e recentemente il villaggio di Tonkar aveva avuto dei problemi con i propri vicini Peul. A quanto pare, anche se le notizie dei giornali locali spesso presentano versioni discordanti, alcuni mesi fa c’erano state delle dispute riguardanti alcuni terreni che venivano rivendicati sia da degli agricoltori Peul che da altri Dagara. Una disputa che era finita male: delle concessioni Peul erano state incendiate. Secondo il volere locale, i Peul avevano promesso di farsi giustizia e vendicarsi. Per la popolazione di Tonkar dunque l’uccisione del piccolo Francis è la risposta dei Peul alla distruzione delle proprie case. Questo non fa che aumentare ulteriormente la rabbia tra Dagari e Mossi, che si trovano dunque alleati contro l’orrore dell’omicidio e della mutilazione del ragazzino.

Per tutta la giornata di martedì 14 agosto, la città è occupata dai manifestanti. Negozi, servizi, ristoranti e banche vengono chiusi e la popolazione resta rintanata in casa. Vengono chiuse tutte le strade di accesso a Gaoua, città che resta quindi isolata per giorni. Nelle rappresaglie tre persone perdono la vita: un Peul, un Mossi e un Lobi. Vengono riportati anche alcuni rapimenti. Giovedì la comunità Mossi decide di marciare contro la sede del governatore. Nonostante le trattative per placare le contestazioni, il linguaggio della violenza continua. Piogge di pietre colpiscono gli edifici pubblici, fino all’arrivo della polizia che tenta di disperdere le persone con i gas lacrimogeni. Dopo diversi giorni di rivolte, un calma precaria regna, ma la tensione è ben lungi dall'essere placata.

Alla fine della settimana, sono quasi duecento le persone in fuga da Gaoua e giunte a Bobo-Dioulasso per mettersi al riparo, e per la maggior parte sono di etnia Peul. Amadou Cissé, delegato dei rifugiati, racconta l'accaduto: "Stavo lavorando nei campi quando ho saputo che stavano attaccando noi Peul in seguito all'assassinio del bambino. Hanno distrutto tutto sul loro cammino. Non abbiamo più nulla." Amadou Cissé, che riconosce in questa situazione l’annosa disputa tra agricoltori, ritiene che “nulla di tutto ciò può giustificare un’indiscriminata caccia ai Peul. Nulla, assolutamente nulla, può giustificare che l’etnia diversa divenga bersaglio della rabbia.” Senza alcuna prova, infatti, un intero gruppo etnico è stato preso di mira per un delitto che forse non ha nulla a che fare con le differenze di etnia, ma che è stato una facile scintilla per lo scoppio di vecchie rivendicazioni. Perché c’è stata questa spirale di violenza? La situazione è complessa. In tutto il Burkina sono oltre 60 le etnie presenti, tutte con caratteristiche sociali e culturali ben distinte ma che normalmente convivono senza alcun problema una accanto all’altra. Nonostante ciò, periodicamente esplode qualche tensione, in varie zone del Paese, tensioni spesso legate a delle rivendicazioni di terreni, e subito le differenze etniche tornano ad essere rivendicate e si scontrano. In questo caso la popolazione maggioritaria di Gaoua, i Dagara, ha voluto farsi giustizia perché ha ritenuto che la reazione della polizia non sarebbe stata abbastanza pronta ed efficace.

È chiaro, infatti, che questi eventi sono il risultato di un’incapacità dello Stato di assumersi le proprie responsabilità ed essere attore presente nei problemi dei propri cittadini. I recenti avvenimenti di Gaoua hanno ricordato a tutti che il Burkina Faso, come tante altre nazioni africane, non è immune al pericolo del conflitto etnico, ma ancor di più al pericolo di un’inefficienza statale dilagante. Ancora una volta, si è trattato né più né meno che di un'espressione della delusione della popolazione di fronte agli atti di impunità. Non è escluso che alcuni di coloro che hanno partecipato alle rivolte fossero a conoscenza di essere nel torto, ma lo hanno fatto comunque, stanchi del silenzio del proprio Stato. Dopo varie uccisioni in quasi tutte le tredici regioni del Burkina Faso negli ultimi tre anni, il governo deve rivedere le sue azioni e ristabilire la sua autorità. Solo la creazione di un sistema giudiziario indipendente e imparziale potrà interrompere questa inaccettabile tentazione di farsi giustizia da soli.

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