COLLABORAZIONE Pastorale di Cormòns - Parrocchie di Borgnano, Brazzano, Dolegna del Collio e Cormòns
Cento anni fa su Cormons sventolava per la prima volta il Tricolore issato dai soldati della Brigata Pistoia, i primi a giungere nel centro collinare il 24 maggio, poche ore dopo l’avvio della guerra. A Brazzano invece entrarono in paese i fanti della Brigatav Re. Non c’era stata resistenza, gli ultimi gendarmi austriaci avevano lasciato il paese ritirandosi oltre l’Isonzo dove il comando dell’esercito austro-ungarico aveva fissato la prima linea di difesa. Cormons, dopo secoli di sostanziale pace, si è ritrovata la guerra in casa. Ed è questo il titolo di una mostra che l’associazione Cormonese Austria ha allestito nella sua sede di via Matteotti e che si può visitare fino al prossimo agosto: una rassegna che con foto inedite, corredate da testi e documenti, rappresenta le varie sfaccettature della guerra: la sofferenza dei soldati feriti e assistiti nei vari ospedali sorti un po’ ovunque, le croci nei cimiteri che aumentavano ogni giorno, i crolli delle case colpite dalle bombe, gli accampamenti dei soldati, il paese invaso dai militari. E’ una mostra - continuazione delle precedenti che hanno raccontato un anno di guerra dall’attentato di Sarajevo in poi curate sempre da Giovanni Battista Panzera – da non perdere perché offre uno spaccato della guerra non a tutti noto e specialmente alle giovani generazioni.
La guerra ha cambiato il volto di Cormons: il centro collinare prima retrovia del fronte dell’Isonzo e del Carso per oltre due anni – fino alla ritirata di Caporetto – si è trovato invaso da migliaia di soldati accampati nelle varie zone periferiche, da Pradis alla Subida, da Angoris alla Boatina, per i loro periodi di riposo dopo giorni di sanguinosi assalti e dura trincea. Tra Brazzano e Cormons avevano trovato sede vari comandi militari fino a quello della II Armata, ospitato a Villa Perusini (l’attuale sede dell’Unicredit di piazza Libertà) e dei reparti logistici. Una vita movimentata fatta di continui passaggi di veicoli militari, di ufficiali che con la loro divisa impeccabile si facevano fotografare sotto la statua dell’imperatore Massimiliano al quale avevano coperto la testa con un sacco. E c’erano poi centinaia di profughi giunti dai paesi vicini, Capriva, Mossa e San Lorenzo in particolare, che avevano trovato una sistemazione da parenti o conoscenti o in alloggi di fortuna in case private.
I cormonesi tutto sommato avevano accolto benevolmente l’esercito italiano: dopo una iniziale diffidenza, le bandiere italiane erano cominciate ad affacciarsi sulle case, d’altra parte la comunanza della lingua aiutava a dialogare con quello che fino a pochi giorni prima era ritenuto “il nemico”. Poi c’era lo spirito di sopravvivenza che spingeva i più a trovare un accomodamento. Non erano certo momenti facili: gran parte degli uomini erano al fronte con la divisa austroungarica richiamati un anno prima allo scoppio della guerra dichiarata dall’Austra alla Serbia e alla Russia. E della loro sorte le famiglie cormonesi ne sapevano ben poco e quel poco lo potevano ottenere solamente dalla Croce rossa: quasi 300 cormonesi morirono sul fronte russo o serbo. Ma ci furono anche vittime civili causate dai bombardamenti: a Cormons, secondo quanto riportato da Camillo Medeot, furono 14 i morti a causa dalle bombe nei primi sette mesi di guerra e molti furono i bambini. La presenza della stazione ferroviaria e la sede del comando dell’Armata erano bersagli preferiti dell’artiglieria austrica, che non furono centrati ma le granate colpirono gli edifici vicini.
Se la presenza così cospicua dell’esercito aveva favorito talune categoria di cittadini, in primo luogo i commercianti che videro aumentare la loro attività e i guadagni (si moltiplicarono in quegli anni le licenze commerciali), c’era chi viveva in miseria e aveva difficoltà a mettere insieme pranzo e cena. Quotidianamente arrivavano in municipio – sindaco era stato nominato l’irredentista Antenore Marni ma sotto il vigile congrollo delle autorità militari - richieste di sussidi non solo in danaro ma anche in generi alimentari e chili di farina venivano elargiti alle famiglie bisognose, a chi non aveva in casa braccia che potevano lavorare. I contadini si erano visti requisire i capi di bestiame dall’autorità austriache alla vigilia della guerra e quelle italiane completarono l’opera. E nella stragrande maggioranza erano le donne, sole e con figli a carico, a chiedere un aiuto che molte delle volte veniva concesso.
La mano pesante, fin dai primi giorni, era rivolta verso le persone sospette o filo austriacanti. Scrive suor Aloisa Hutter nella Cronaca del convento delle Suore della provvidenza il 30 maggio 1915, a sei giorni dallo scoppio della guerra: “Appena entrati a Cormons, gli italiani si diedero tosto alla ricerca delle persone che a loro sembravano sospette. I sacerdoti in modo particolare e le persone influenti furono oggetto di persecuzione. Senza essere interrogate, venivano condotte alle carceri e poi con isvariati mali trattamenti internati. Si può immaginare, come di fronte a tale procedere indelicato e ingiusto, ognuno paventasse per sé e per i propri cari, masticando intanto il pane misto a molte lacrime”. Nei primi mesi della guerra decine di cormonesi, ma anche abitanti del Collio, furono internati in varie regioni del Regno, dalla Sicilia al Piemonte, alla Toscana e vi fecero ritorno a guerra conclusa. I primi a venire internati furono i sacerdoti, ma questo sarà il tema che svilupperemo in un altro capitolo della guerra in casa.
Fr. Fe.
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