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IL VERO VIAGGIO DI SCOPERTA NON CONSISTE NEL CERCARE NUOVE TERRE, MA NELL'AVERE NUOVI OCCHI

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Si riporta l'articolo di Marta Sodano pubblicato sul n. 5 del 22 gennaio 2013 del "Foglio di Informazione & Collegamento con la Realtà burkinabè":

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi” diceva Proust e non c’è frase che meglio riassuma questo mio anno qui in Burkina. Penso alle prime settimane qui, quasi un anno fa, quando guardando il trambusto del mercato, i venditori ai lati delle strade, le maree di moto e taxi sgangherati e mi chiedevo se tutto questo un giorno mi sarebbe sembrato normale, e non ne avrei quasi neanche più fatto caso.

Vedevo le donne sempre affaccendate a cucinare a terra, a fare il bucato o a macinare il miglio. Vedevo i bambini occupare il loro tempo giocando con una ruota di bicicletta, andando alla fontana a prendere l’acqua o prendendosi a botte con i propri fratelli. Vedevo tanti uomini seduti a chiacchierare o a bere il tè, addormentati su una stuoia fuori casa o al bar a discutere davanti a una birra. Vedevo le contraddizioni del nuovo grande supermercato e a fianco il carretto trainato dall’asino, la gente con i vestiti stracciati ma con in mano un telefonino ultimo modello,…

Vedevo e mi sembrava davvero di essere finita in un altro mondo, lontano anni luce dalla mia vita come l’avevo conosciuta finora. Spesso non capivo tante cose, e magari dentro di me anche le criticavo o giudicavo. Mi dicevo che non avrei mai potuto fare una vita al posto loro, vivere in un villaggio in cui non c’è nessuna delle comodità e dei servizi che noi diamo per scontati: acqua corrente in casa, un bagno, elettricità, ospedali, scuole, strade,.. Ma soprattutto mi impressionava la mancanza di cose da fare nel tempo libero, modi di divertirsi e di svagarsi.

Pensavo “Poveri, chissà che vita noiosa”. Poi con il tempo ogni aspetto della vita di tutti i giorni che mi circondava diventava sempre più normale, ogni persona diventata amica mi ha fatto vedere che nonostante le differenze ridiamo e gioiamo per le stesse cose, a Gorizia come a Bobo-Dioulasso. Ho imparato a contrattare per mezz’ora il prezzo di ogni cosa, ad arrivare in un ufficio pubblico e sedermi e chiacchierare per dieci minuti prima di poter domandare qualcosa, a condividere un piattone di riso mangiandolo con le mani, a non fare la schizzinosa davanti a una latrina, a salutare e sorridere alla gente per strada.

Ma soprattutto ho capito che è molto più bello condividere un tè tradizionale davanti a casa degli amici o una bibita in un “bar” formato solo da 3 tavoli lerci e 4 sedie, piuttosto che inseguire il divertimento da un bar alla moda a un altro, magari poi tornando anche a casa annoiati, come succede da noi. Che se anche a volte è pesante essere sempre “la bianca” che tutti si girano a fissare o ad apostrofare, è sicuramente meglio dell’indifferenza e dell’invisibilità che si vivono nelle nostre città. Che se a volte ti lamenti della musica ovunque 24 ore su 24, poi ti ricordi del silenzio e delle strade vuote già alle 8 di sera dei nostri paesi. Che se anche c’è un abisso tra le possibilità che ha un bambino che nasce in Burkina e in Italia, almeno qui i bambini sono sempre sorridenti, e sanno divertirsi con poco, anzi con niente, quando dai noi a 3 anni vengono già fatti giocare con i videogiochi e se avessero solo un straccio di pezza e un filo non riuscirebbero certo a farne una palla.

Forse tutti questi sembrano i soliti clichés sull’Africa, le solite cose che dicono tutti di ritorno da qualche Paese di questo affascinante continente: la gioia di vivere della gente, la semplicità delle relazioni, le risate, i canti e i balli, i colori, i bambini,.. Ma a fare un bilancio alla fine dell’anno sono proprio queste le cose più importanti e i ricordi più forti che porto a casa. Certo è un riassunto, una semplificazione, perché la realtà è talmente complessa che ci vorrebbero pagine e pagine per rendere giustizia. Si potrebbe discutere di quanto è triste questa voglia di copiare l’Occidente, questo atteggiamento a volte addirittura reverenziale verso i bianchi, e di come faccia a volte vergognare gli africani più benestanti delle loro pratiche e credenze tradizionali, che sono invece interessantissime e ricchissime di significati. Si potrebbe parlare del male che fa agli stati africani continuare ad avere la cooperazione straniera che fornisce i servizi al posto loro, ma di come invece il beneficio alla popolazione sia inestimabile. Potrei parlare del senso di disagio di vivere con tutte le comodità che noi ci possiamo permettere qui, ma allo stesso tempo con la consapevolezza che non bisogna sentirsi in colpa dei bisogni che abbiamo. Potrei parlare del senso di insicurezza che l’attuale crisi politica locale fa sentire, la paura di questi ultimi mesi che il conflitto in Mali faccia precipitare anche il mio Burkina e l’angoscia che proverei a sapere in pericolo gli amici rimasti. Ma invece non ne parlo perché questo voleva e vuole essere un articolo di bilancio e il bilancio del mio anno in servizio civile in Burkina è senza dubbio positivo e le critiche quindi le lascio da parte. Ringrazio quindi il CVCS per questa esperienza che mi ha insegnato tanto, soprattutto sul piano personale, con l’augurio che il prossimo governo ripermetta ad altri giovani come me di fare quest’esperienza unica che è il servizio civile, in Italia come all’estero.

È quindi il momento dei saluti e l’augurio che faccio a me stessa è proprio quello di tornare a casa con occhi nuovi, senza pregiudizi, con gli insegnamenti che questo anno in Burkina mi hanno dato. E spero che in ogni straccio di pezza che vedrò potrò immaginare una palla.

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