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23 Aprile - Festa del Patrono di Cormòns

Image previewCORMONS -  FESTA PATRONALE: 23 aprile 2013

L'Omelia del Vescovo Carlo Maria Radaelli

Questa mattina nella posta ho trovato l'invito della Diocesi di Palermo a partecipare a fine maggio alla celebrazione di beatificazione di padre Pino Puglisi, sacerdote ucciso dalla mafia vent'anni fa.

Non ho avuto occasione di conoscerlo di persona, ma ho incontrato il suo successore e la sua comunità parrocchiale del quartiere Brancaccio di Palermo e anche diverse persone che lo hanno conosciuto e mi hanno parlato di lui; ho visto anche il luogo dove è stato ucciso, davanti ala casa dove abitava con il papà.

Fa una certa impressione sapere che viene beatificato un martire dei nostri giorni, una persona come noi - anche con i suoi limiti e le sue paure oltre che con il suo coraggio e la sua grande spiritualità- un uomo che per il Vangelo, la verità e la giustizia ha dato la vita.

Sant'Adalberto, che oggi festeggiamo, forse non ci fa la stessa impressione, anche in voi di Cormons che ben lo conoscete come vostro Patrono.

Sembra un personaggio troppo lontano da noi, eppure anche lui è stato una persona con il suo carattere, la sua voglia di vivere, i suoi ideali, i suoi sogni, le sue realizzazioni e le sue sconfitte. E in ogni caso è morto per annunciare il Vangelo.

Per il Vangelo si può morire? E' questa la domanda che dovremmo porci quando si celebra un martire, vicino a noi nel tempo o vissuto, come sant'Adalberto, più di mille anni fa.

Si tratta di una domanda che dovremmo rendere da generale e astratta a personale e concreta: io potrei morire per il Vangelo?

Potrei dare la vita per Gesù?

Sono domande estremamente serie e vere, se siamo cristiani. Non sono ipotesi per assurdo e dobbiamo confrontarci su di esse. A partire dall'ultima domanda che ho formulato: potrei dare la vita per Gesù?

Si può infatti intendere il dare la vita nel gesto estremo del martirio, oppure nel darla giorno per giorno per Lui.

Ho detto "oppure", ma è sbagliato. Perché i martiri, da sant'Adalberto a padre Puglisi comprendendo tutti i martiri antichi e moderni, non si sono improvvisati martiri. Nella loro stragrande maggioranza, il martirio è stato solo la conclusione - insieme tragica e gloriosa - di una vita donata per il Signore.

Non so se ci verrà chiesto di morire per il Signore, so che ci viene domandato a tutti - vescovo, presbiteri, diaconi, religiose, fedeli laici - di vivere per il Signore. In ogni caso la vita va data, va donata,che sia nella quotidianità o nel martirio.

Donata perché svalutata? Disprezzata? Gettandola dunque via? Ma se c'è qualcuno che deve amare e apprezzare la vita è proprio il cristiano. Bellissime le parole di Paolo ai Filippesi:

«In conclusione, fratelli: tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri>> .

Tutto ciò che c'è di bello, buono e vero nella vita deve interessarci, deve piacervi. E', infatti, dono di Dio. Di quel Dio che ci dona la sua pace, che si prende cura persino di due passeri - figurarsi di noi... -, di quel Dio che è nostro pastore, nostra guida, nostro padre. Di quel Dio che è amore, che è dono totale di sé, Trinità dove il Padre si dona tutto al Figlio nello Spirito e viceversa. Dio che ci ha creati per renderei partecipi della sua vita d'amore.

Il martirio allora non è che il segno di quello che deve essere la vita: un dono. Un dono gioioso, pur nella sofferenza, nella fatica, nella lotta contro il male, ma - come ci ha detto e ripetuto san Paolo - occorre rallegrarsi sempre nel Signore.

Festeggiare un martire, antico o moderno, vuoi dire ricordarsi di tutto ciò. Ricordarselo non in astratto ma avendo davanti gli occhi l'esempio di una persona concreta che, oggi o mille anni fa, non importa..., ha dato la vita per il Signore, ogni giorno fino al dono supremo di sè.

Che Sant'Adalberto ci ottenga come pregheremo tra poco - di essere veri amici di Gesù, sapendo in vita e in morte tenere i nostri occhi fissi su di Lui, nostro Signore, nostro amore, nostra gioia.

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