COLLABORAZIONE Pastorale di Cormòns - Parrocchie di Borgnano, Brazzano, Dolegna del Collio e Cormòns
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Si riporta l'articolo di Filippo Doria pubblicato sul n. 4 del 23 novembre 2012 del "Foglio di Informazione & Collegamento con la Realtà burkinabè":
In Italia forse giornali e tv non ne parlano molto, e tanti non sanno nemmeno dove sia, ma qui, in Burkina Faso, è da mesi che quasi non si parla d’altro: il Mali. Il Mali e la crisi che lo colpisce ormai da 8 mesi. Il paese vive nel caos da quando lo scorso 22 marzo il capitano Amadou Sanogo ha condotto un colpo di stato che ha rovesciato il presidente eletto Amadou Toumani Traoré, innescando un effetto domino che ha portato il nord del paese a cadere prima nelle mani degli indipendentisti tuareg del MNLA(Movimento di Liberazione Nazionale dell’Azawad) e poi in quelle di svariati gruppi islamisti e jihadisti armati.
Da quel 22 marzo il MNLA in due settimane era riuscito a conquistare numerosi territori nel nord del paese e a dichiarare l’indipendenza dell’Azawad. I tuareg accettarono allora l’aiuto di Ansar Dine, un gruppo di islamisti, il cui leader, Iyad Ag Ghaly, è proprio un tuareg. Ma nel corso di un paio di mesi Ansar Dine è stato raggiunto da un altro paio di gruppi di islamisti armati, MUJAO (Movimento per l’Unicità e lo Jihad nell’Africa dell’Ovest) e AQMI (Al-Qaïda nel Maghreb Islamico).
I tre gruppi hanno cominciato a collaborare sempre più strettamente, formando pressoché una “triade” che è riuscita ad assumere il potere nella quasi totalità del territorio del nord del Mali, emarginando sempre più lo stesso MNLA. Gli islamisti hanno avuto assolutamente gioco facile nel loro cammino di conquista per via della loro superiorità militare. Il loro arsenale è composto per lo più da armi uscite dalla Libia dopo la morte di Gheddafi. Nel frattempo a Bamako, la capitale del paese, si è lavorato per limitare rapidamente i danni istituzionali innescati dal golpe di Sanogo e si è instaurato un governo provvisorio in grado di traghettare il Mali verso nuove elezioni nel 2013. Il presidente ad interim, eletto dal parlamento maliano, è Dioncounda Traoré, che fu il rivale alle ultime presidenziali proprio di Amadou Toumani Traoré, ed il primo ministro è Cheick Modibo Diarra, grande scienziato maliano, che ha lavorato per la NASA e che è stato presidente di Microsoft Africa. Il capitano Sanogo, invece, ha ottenuto un incarico istituzionale non di poco conto, in quanto è colui che dovrà occuparsi di riorganizzare l’esercito maliano.
La priorità assoluta per il nuovo governo di Bamako è stata, sin dal giuramento di Traoré del 12 aprile, la riconquista del nord del paese, con le buone o con le cattive. In questi mesi, il governo ha tentato invano di abbozzare delle trattative con gli islamisti e con i tuareg, e sino ad agosto si è dimostrato assolutamente contrario a richiedere l’aiuto internazionale, in primis della CEDEAO (Comunità Economica dell’Africa dell’Ovest). Ma la CEDEAO si è occupata sin dall’inizio della crisi di attivare tutti i canali diplomatici possibili per avviare delle trattative efficaci con i tuareg e con gli islamisti. Segnatamente la persona incaricata di mediare in tale crisi per la CEDEAO è il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, con il supporto del suo ministro degli esteri, Djibril Bassolé.
Nel nord del paese gli islamisti non si sono limitati ad occupare il territorio e ad instaurarsi nelle principali città (Gao, Kidal e Timbuctu), bensì hanno avviato un’opera d’islamizzazione delle popolazioni locali, applicando la legge islamica, la Sharia, ovviamente secondo la loro particolarissima e rigidissima interpretazione. Negli ultimi mesi la quotidianità degli abitanti del nord è diventata un incubo a causa delle insopportabili proibizioni e dalle pene imposte dagli islamisti. E purtroppo si è anche assistito a numerosi episodi che hanno diffuso il terrore: lapidazioni per matrimonio illegittimo, mutilazioni per furto, esecuzioni sommarie, arruolamento di bambini soldato, e infine anche la distruzione a Timbuctu di mausolei dichiarati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
Così il 26 settembre il Mali, ormai convinto di non potercela fare da solo a riprendersi il nord, soprattutto considerando il pessimo stato del proprio esercito, ha deciso di presentare al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la richiesta ad un intervento militare internazionale, gestito dalla CEDEAO, nei territori del nord. Il 12 ottobre l’ONU ha approvato la mozione del Mali e ha dato alla CEDEAO 45 giorni per presentare al consiglio di Sicurezza un piano di intervento militare. Ciò a cui si lavora incessantemente a Bamako in queste settimane.
Probabilmente una guerra è ormai prossima, c’è chi parla di settimane e chi di mesi. La futura Missione della CEDEAO nel Mali (MICEMA) sarà costituita da circa 3100 soldati, provenienti da Niger, Togo e Nigeria, con 600 soldati a testa, da Senegal e Bénin, con circa 500 uomini ciascuno, e dal Burkina Faso, con 200 soldati. Fuori dalla CEDEAO, il Ciad si è dichiarato favorevole all’invio di truppe, mentre l’Algeria si è opposta decisamente ad una risoluzione militare del conflitto. Ovviamente anche l’Occidente parteciperà a suo modo alla missione, infatti gli USA e la Francia forniranno un sostegno logistico all’operazione MICEMA, e forse anche l’Unione Europea potrebbe approvare nei prossimi giorni il proprio appoggio logistico. Gli eserciti francese e statunitense metteranno a disposizione le basi militari ed i mezzi aerei, soprattutto per raccogliere informazioni sul nemico. Di fatto, già da mesi i droni americani sorvolano il nord del Mali per “controllare” la situazione. Inoltre, i militari di entrambi gli eserciti presenti in Mali si occuperanno di formare le truppe dell’esercito maliano.
Ma nel frattempo la diplomazia internazionale continua a lavorare in parallelo per scongiurare la guerra. Il 9 ottobre il segretario dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha nominato Romano Prodi come inviato speciale per il Sahel, in primis con il compito di concentrarsi sulla crisi maliana. Ed il14 novembre, Prodi ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza, che il solo modo per evitare una guerra nel Mali è: «mostrare un impegno concreto, e portare al più presto aiuti umanitari nella regione».
La mediazione della CEDEAO, dal canto suo, ha messo a segno dei colpi di una certa importanza strategica. In primis l’MNLA ha dichiarato al mediatore della CEDEAO, Blaise Compaoré, di essere disposto a modificare le proprie richieste di indipendenza dell’AZAWAD in una richiesta di maggiori autonomie locali per le popolazioni tuareg stanziate in quelle zone. Inoltre, è notizia di questi giorni che la mediazione burkinabé stia tentando di convincere Ansar Dine, il gruppo islamista più moderato dei tre, a prendere le distanze da MUJAO e AQMI e a trovare un accordo diplomatico con la CEDEAO. Le trattative procedono, e di certo la minaccia dell’uso della forza, di un intervento militare della CEDEAO, sostenuto dall’Occidente, può costituire un forte deterrente per le mire degli islamisti e può facilitare il gioco della diplomazia internazionale.
Qui in Burkina intanto continuano ad arrivare nuove ondate di profughi dal nord del Mali, al momento se ne contano circa 60.000, e per la fine dell’anno è previsto un aumento sino ai 100.000. L’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) assieme ad altre organizzazioni umanitarie, quali Terres des Hommes e Medici Senza Frontiere, tentano di apportare il loro contributo per accogliere ed assistere i profughi maliani, ma spesso si trovano a dover lavorare in condizioni e con risorse inadeguate. In Burkina Faso attualmente vi sono vari siti di accoglienza per i rifugiati, soprattutto nel nord, nel Sahel, che è anche la zona più prossima al nord del Mali, a Bobo-Dioulasso e nella capitale, a Ouagadougou. Ma la vita nei campi diviene sempre più dura, e l’insicurezza alimentare che vive il paese non fa che peggiorare le condizioni di vita dei rifugiati. E viceversa, ovviamente per il Burkina Faso l’afflusso di profughi rende ancora più ardua la lotta alla crisi alimentare.
E non è il solo problema che di riflesso il Burkina si trova a dover affrontare per via della crisi in Mali. Infatti, l’appoggio all’intervento militare potrebbe avere delle pesanti conseguenze per la propria sicurezza interna. Verso la fine di settembre i servizi di sicurezza burkinabé hanno ammesso ufficialmente che AQMI è riuscita a penetrare nel paese, giungendo sino a Ouagadougou, e pianifica attentati e rapimenti. Il Burkina Faso ed altre organizzazioni occidentali avrebbero così consigliato ufficiosamente agli occidentali presenti nel paese di partire quanto prima, o quantomeno di non recarsi in zone considerate estremamente pericolose, quali il Sahel e alcuni luoghi della capitale. Il Burkina sarebbe nel mirino di Al-Qaïda proprio a causa del suo sostegno alla missione MICEMA e della collaborazione con gli eserciti occidentali.
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