COLLABORAZIONE Pastorale di Cormòns - Parrocchie di Borgnano, Brazzano, Dolegna del Collio e Cormòns
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Si riporta l'articolo di Filippo Doria pubblicato sul n. 3 del 3 settembre 2012 del "Foglio di Informazione & Collegamento con la Realtà burkinabè":
I miei primi sei mesi in Burkina. Tante sensazioni, tante impressioni, tante esperienze, ma in fondo ancora quasi tutte da decifrare meglio. Le domande si moltiplicano e le risposte latitano...
Bobo-Dioulasso è la seconda città del Burkina Faso, è la città della cultura, della musica e delle maschere. Il centro è il grande mercato di Bobo, una fiera labirintica all’aperto che costituisce anche l’anima della città. Ci trovi frutta, verdura, carne, pesce, prodotti col burro di karitè, cianfrusaglie di ogni sorta, ma soprattutto l’artigianato locale, cioè maschere, strumenti musicali e poi collane, orecchini e bracciali, e ogni sorta di stoffa dai colori più incredibili. E sui colori si potrebbe aprire una discussione a parte: il rosso della terra e dei tramonti, e il verde delle piante che diventa ancora più acceso appena inizia la stagione delle piogge, e che dire dei colori indossati dalla gente, impossibile trovare due burkinabè con addosso gli stessi colori! Un arcobaleno in movimento ogni giorno per le strade della città. E le donne sono le protagoniste di questo carnevale di colori, quando le vedi andare in giro nei loro vestiti con aria così elegante e fiera, con l’immancabile bambino sulle spalle, e magari anche un altro paio per mano e una cesta piena zeppa di robe ben salda sulla testa, sembrano proprio delle regine equilibriste! Tutta la zona centrale è comunque un gran mercato, con negozietti, bancarelle, chioschetti e venditori ambulanti ad ogni angolo di strada. Un gran bourdel, altro che la tranquillità della savana africana!
A Bobo ci sono anche tantissime scuole e licei. E te ne accorgi se vai in giro intorno all’ora di pranzo, quando in giro vedi bambini e ragazzi di ogni età che tornano a casa o che fanno una pausa per strada, nelle loro divise, in bicicletta, a piedi o in motorino. I bambini non trattengono le risate e mentre gridano TUBABU (uomo bianco in dioula), ti vengono incontro per salutarti e per darti la mano, per toccare il bianco. E’ vero che i bambini son fantastici ovunque, ma qui raramente ho visti bimbi piangere o litigare, proprio qui…il che contraddice alquanto uno dei tanti stereotipi sull’Africa come terra di perenne miseria e sofferenza. In generale qui la gente non ti trasmette affatto sofferenza, al contrario, gioia di vivere ed entusiasmo, nonostante la loro povertà materiale.
La vita è soprattutto socialità, è tutto un saluto, una chiacchiera, un incontro, una visita continua. I burkinabè quando si incontrano fanno grandi convenevoli, che sia il darsi la mano con lo schiocco delle dita, o il saluto porgendosi le fronti l’una contro l’altra, o una semplice stretta di mano, in ogni caso ogni incontro è l’occasione di dar vita ad un rituale con formule ben precise, ed è un rituale a cui non ci si può sottrarre, il che vale anche per noi bianchi.
L’importante è stare insieme, per strada, al bar, all’ombra di un albero, sotto la luce di un lampione, di solito a non far nulla di particolare, magari due chiacchiere, certamente bere un té, ma appunto non importa.
Anche il semplice fare la spesa, banalmente, può significare andare da svariati venditori, con ognuno dei quali scambi due parole, alla fine magari c’hai anche messo un’ora a comprare quattro cose, ma hai parlato con almeno cinque persone diverse. Questo cambia completamente la quotidianità e il modo di “fare società”, se pensiamo invece alla classica spesa al supermercato! Certo bisogna avere tempo, ma direi che qui non manca, o meglio, non è così importante. Tutto qui è rallentato, languido, anche perché non si può sottovalutare il fattore climatico. Impossibile essere attivi più di tanto fra le 11 e le 16, se si è in stagione secca, c’è una temperatura media attorno ai 40 gradi, a cui si aggiunge l’harmattan che soffia, che sembra un immenso phon puntato addosso! Poi arriva il tramonto, e all’improvviso arriva il buio, un attimo prima la luce e poi voilà: l’oscurità pronta ad accogliere un nuovo cielo stellato!
Qui è tutto così semplice dal punto di vista materiale quanto complesso dal punto di vista sociale e spirituale, la cultura tradizionale è ancora forte e fa a cazzotti con la modernizzazione forzata. La dimensione privata è quasi inesistente, le case sono in realtà mini-comunità in cui la corte è il centro della socialità. Che sia la tua famiglia, i tuoi vicini o i tuoi amici, sei sempre con qualcuno, come scriveva Kapuscinsky nel romanzo “Ebano” forse la cosa che temono di più gli africani è restare da soli, ancor più della morte. L’individualismo sembra esistere solo in parte in città. La città è il luogo in cui la gente del villaggio spesso arriva per cercare di “fare dei piccoli business”, per sfuggire alla povertà del villaggio, ma che in realtà spesso finisce per trovarsi in una miseria ancor più grande e, appunto, da solo. L’individualismo, entro certi limiti, è stato fondamentale per lo sviluppo della nostra civiltà, assieme al razionalismo e alla critica. Ma quaggiù è diverso, gli uomini hanno seguito un altro percorso e sviluppato un’altra cultura. La frase preferita dei burkinabè il “n’y a pas des problèmes” (non c’è nessun problema) è, in questo senso, davvero emblematica. Anche quando le difficoltà ci sono eccome, si fa finta di non vederle e ci si rimette alla volontà di un’entità superiore. Se ciò di per sé può effettivamente costituire un problema, d’altro canto può rivelarsi come un atteggiamento di forza rispetto al modo in cui in Europa ci lasciamo ossessionare da alcune questioni, che spesso portano a seri problemi di stress e depressione. Le difficoltà qui vengono relativizzate e la fiducia nel futuro, in una soluzione prossima, resta sempre alta.
Per esempio, secondo me uno degli aspetti più affascinanti e ammirevoli in assoluto del Burkina è la questione religiosa. Qui convivono fondamentalmente 3 religioni: Animismo, Cristianesimo e Islam, con una prevalenza di quest’ultimo. Ebbene il Burkina è davvero un modello di convivenza pacifica e solidale fra religioni differenti. Appunto, non c’è nessun problema. Che tu sia musulmano, cristiano o animista fa lo stesso, perché innanzitutto sei un fratello africano. Infatti sono frequenti i matrimoni misti fra religioni differenti, così come ogni compagnia di amici è composta di credo differenti. Il Jigi Seme, il centro giovani con cui lavoriamo, è stato creato e viene gestito da suore cattoliche, eppure la maggioranza degli iscritti sono musulmani…dov’è il problema? Sembra incredibile, anche se dovrebbe essere così ovunque, ma io per primo resto stupito dalla tranquillità con cui qui ci si approccia alla religione.
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