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UN’AMNISTIA CHE FA DISCUTERE

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Si riporta l'articolo di Filippo Doria pubblicato sul n. 2 del 27 luglio 2012 del "Foglio di Informazione & Collegamento con la Realtà burkinabè":

 L’11 giugno 2012 il parlamento del Burkina Faso ha emendato circa 60 articoli della propria Costituzione.

Tra un cambiamento dell’età per candidarsi alle presidenziali e la creazione di una nuova camera, un senato, la modifica costituzionale più sensibile è quella che prevede un’amnistia per tutti gli ex-capi di Stato.

L’amnistia è il provvedimento al centro di numerose polemiche e che continua a far discutere, in quanto dunque liberi da ogni accusa tutti gli ex-presidenti burkinabè legalmente perseguitati per colpi di stato, corruzione e violazioni dei diritti umani. S

egnatamente beneficeranno del provvedimento gli ex-presidenti golpisti Saye Zerbo (al potere dal 1980 al 1982) e Jean-Baptiste Ouedraogo (al potere dal 1982 al 1983).

E, ovviamente, anche l’attuale capo di Stato, Blaise Compaoré, potrà giovarsi dell’amnistia nel momento in cui lascerà il potere. Blaise Compaoré è presidente del Burkina Faso esattamente da 25 anni, da quando, nel 1987, il suo colpo di stato rovesciò il governo di Thomas Sankara.

E proprio Sankara non è stato un presidente qualsiasi per il Burkina Faso, in quanto era considerato il presidente rivoluzionario, colui che, in 4 anni di governo, tentò di cambiare la fisionomia del paese, incominciando dal nome dello Stato, cambiato da Alto Volta (nome assegnato dai colonialisti francesi) a Burkina Faso appunto (che in mooré significa “la terra degli uomini integri”), e proseguendo con l’avvio di politiche sociali che riuscirono, in parte, a migliorare il benessere del popolo burkinabé.

Thomas Sankara perse la vita proprio in occasione del golpe di Compaoré, il 15 ottobre 1987, ucciso in una sparatoria le cui circostanze restano ancora oscure, anche se per molti l’ordine di eliminare Sankara venne dallo stesso Compaoré. Questi era peraltro cresciuto nell’esercito assieme a Sankara ed era stato, sino a quel momento, il suo braccio destro nel governo rivoluzionario.

In 25 anni Blaise Compaoré ha cercato di “normalizzare” la situazione del suo paese dopo gli anni del sankarismo, rompendo con tutti gli aspetti progressisti di quel periodo, aprendosi alle politiche economiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, e dando vita ad un canale di relazioni privilegiate con gli USA e l’UE. Gradualmente, ha tentato anche di dare una parvenza di democraticità al proprio governo autoritario introducendo dei meccanismi democratici, quali le elezioni presidenziali a partire dal 1991, la delega di una parte dei suoi poteri al parlamento ed il limite nel numero di mandati presidenziali consecutivi.

Negli ultimi anni Compaoré si è inoltre impegnato nell’offrire agli occhi della comunità internazionale un’immagine affidabile di sè, imponendosi come il grande mediatore di tutte le crisi dell’Africa dell’Ovest, il savio peacemaker della CEDEAO (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) che l’anno scorso riuscì brillantemente a favorire il processo di pace nella guerra civile in Costa d’Avorio, e che, attualmente, tenta di “fare il bis” con la crisi in Mali.

Il Burkina Faso era e rimane uno dei paesi più poveri del mondo in assoluto (occupa uno degli ultimi posti nella classifica UNDP), con un’aspettativa di vita molto limitata, un’alta mortalità infantile, ingenti problemi di salute e croniche crisi alimentari. Ciò nonostante, è da quasi 30 anni che non vede una guerra sul proprio suolo né particolari conflitti sociali, il che è quasi sorprendente per un paese del sud del mondo. Dunque la prolungata presidenza di Compaoré, sebbene vada contro qualsiasi principio di successione democratica, ha coinciso con un periodo di assoluta pace. Forse i burkinabé hanno implicitamente scelto di affidarsi a Compaoré accettando di rinunciare ad una parte delle proprie libertà politiche in cambio di una garanzia di pace sociale. Forse, perché proprio l’anno scorso, nel periodo che viene ricordato come “la mancata primavera burkinabé”, è sembrato che qualcosa si fosse incrinato in questa tacita pace sociale ed il conflitto si è innescato spontaneamente in varie parti sociali, sinché non è sfociato in una lotta intestina all’esercito che è stata rapidamente repressa.

Le prossime elezioni presidenziali saranno nel 2015 e la domanda con la D maiuscola che ossessiona e determina la politica burkinabé è la seguente: Blaise Compaoré si ricandiderà? Se vorrà farlo dovrà necessariamente modificare la Costituzione che limita a due i mandati presidenziali. Ma forse Blaise sta pensando di ritirarsi da vincente, di uscire di scena senza calcare la mano, senza rischiare di innescare conflitti, e di porre così l’ultimo tassello alla sua immagine di politico elegante che ha un’etica e che rispetta i principi della democrazia. L’amnistia può rientrare, in tal senso, nel piano di lasciare, senza pagar dazio, le redini della politica nazionale, magari in favore di qualche “delfino”, che tuttavia fatica a venir fuori, e potersi dedicare a tempo pieno alla diplomazia internazionale, affinché da Monsieur le President potranno iniziare a chiamarlo Monsieur le Mediateur.

L’opposizione parlamentare ha tentato, invano, di contrastare la modifica della Costituzione, dunque ora la sfida è quella di arrivare ben preparati alla prossima campagna elettorale e tentare di mettere fine all’era di Compaoré. Dal canto suo, il CDP (Congrés pour la Démocratie et le Progrés), il partito del presidente, nell’eventualità di un ritiro del proprio leader dai giochi politici, sarà costretto a rivedere le proprie strategie e si troverà di fronte alla problematica scelta di un nuovo candidato in grado di reggere l’urto con l’eredità compaoriana.

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