COLLABORAZIONE Pastorale di Cormòns - Parrocchie di Borgnano, Brazzano, Dolegna del Collio e Cormòns
Dal 22 marzo 2012 il Mali sta attraversando una doppia crisi : a Bamako, la capitale, i militari hanno rovesciato il Presidente Amadou Toumani Touré; nel nord del paese, i ribelli Tuareg e alcuni gruppi islamisti sono riusciti a conquistare le tre principali città della regione, Kidal, Gao e Timbuktu.
Lo scorso 22 marzo alcuni soldati guidati dal capitano Amadou Sanogo hanno annunciato sulla televisione e sulla radio di Stato di aver preso il potere ai danni del presidente Amadou Toumani Touré, reo di essersi dimostrato incapace nell’affrontare le rivolte dei Tuareg nel nord del paese.
I Tuareg lottano da decenni in quelle zone per veder riconosciuto un proprio territorio indipendente, ma è solo dall’ottobre del 2011 che essi si sono organizzati nel Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad* (MNLA), a seguito della caduta di Gheddafi in Libia.
L’intervento NATO in Libia e la fine del regime di Gheddafi avevano, infatti, messo in fuga migliaia di persone, tra cui anche le milizie tuareg che avevano sostenuto il dittatore e si erano trasferiti in territorio libico. Migliaia di combattenti tuareg decisero dunque di tornare in patria, nel deserto, e giunsero nel nord del Mali, ricongiungendosi agli altri Tuareg già presenti sul territorio e portando con sé un vasto arsenale di armi “collezionate” in Libia. Il ritorno di questi miliziani tuareg ha dato ovviamente nuovo impulso al movimento secessionista in Mali, ed il neonato MNLA ha incominciato nel gennaio 2012 le proprie operazioni militari.
Proprio l’avanzata dei ribelli Tuareg, contro un mal equipaggiato e disorganizzato esercito maliano, è stato l’argomento utilizzato dal capitano Sanogo per legittimare il suo colpo di stato e fondare il Comitato Nazionale per il Ritorno della Democrazia e la Restaurazione dello Stato (CNRDR). La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDAO) ha reagito al golpe immediatamente, imponendo un embargo economico al Mali, mentre la Banca Mondiale, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno prontamente tagliato i finanziamenti al paese, la cui economia dipende in larga misura dagli aiuti internazionali.
Le conseguenti difficoltà economiche e le divisioni politiche interne fra partiti pro e contro Sanogo, non hanno fatto altro che accelerare la crisi nel nord del paese, dando luogo esattamente all’esito che i golpisti intendevano scongiurare.
Nel nord, infatti, a sole due settimane di distanza dal colpo di stato del 22 marzo, i ribelli sono riusciti a conquistare tutte le principali città: Gao, Kidal e Timbuktu. Il 6 aprile scorso l’MNLA ha quindi proclamato l’indipendenza dell’Azawad, segnando di fatto una divisione del Mali in due parti. I Tuareg sono riusciti ad imporsi così facilmente anche a grazie all’intervento di una formazione jihadista che ha combattuto anch’essa contro l’esercito governativo: Ansar Dine, guidata dal leader Iyad Ag Aghaly. Nelle ultime settimane gli islamisti di Ansar Dine si sono insediati nel nord del Mali dividendosi col MNLA le zone d’influenza, il che ridimensiona la dichiarazione d’indipendenza dei Tuareg e la loro supposta egemonia su quel territorio. Inoltre, è stata ripetutamente segnalata nei territori occupati da Ansar Dine la presenza di uomini del movimento al-Qaeda nel Maghreb Islamique (AQMI), formazione che negli ultimi mesi ha legato il proprio nome al sequestro di alcuni cittadini occidentali (tra cui probabilmente Rossella Urru). La convivenza tra i due gruppi ribelli non si preannuncia facile, in quanto aventi obiettivi completamente differenti e, per certi versi, in contrasto. Da un lato, vi è un movimento laico, l’MNLA, che era interessato a conquistare il “proprio” territorio e, a seguito della proclamazione dell’Azawad indipendente, ha dichiarato di aver concluso le operazioni militari. Negli ultimi giorni si è anche mostrato disposto a trattare col governo (precario) di Bamako. Dall’altro, vi sono i ribelli di Ansar Dine che intendono imporre la Sharia (esclusivamente secondo la loro interpretazione) nei territori occupati, anche a costo di innescare seri conflitti religiosi, e gli alqaedisti che hanno più volte manifestato la volontà di estendere le ostilità all’intera regione del Sahel. E se nel nord vi è una situazione di instabilità e insicurezza, pure al sud “grande è la confusione sotto il cielo”. Dopo lunghe settimane di trattative mediate dalla CEDEAO, il capitano Sanogo ha infine accettato di rimettere il potere nelle mani degli organi istituzionali, ottenendo in cambio l’amnistia per sé e gli altri golpisti. Le istituzioni maliane hanno optato per la nomina di un nuovo capo di Stato, Diocounda Traoré, e di un nuovo primo ministro, Cheick Modibo Diarra (presidente della Microsoft Africa - Medio Oriente), il cui governo resterà in carica per dodici mesi. Nonostante ciò abbia permesso la revoca delle sanzioni internazionali, vi sono parti sociali che si oppongono al nuovo governo di transizione e la capitale rimane teatro di numerosi episodi di violenza.
L’esercito maliano tenta ora di riorganizzarsi per far fronte agli occupanti del nord del paese ma non risulta ancora in grado di poter portare una contro-offensiva efficace. La CEDEAO spinge per poter inviare le proprie truppe sul territorio maliano, ma il nuovo governo si è dimostrato sinora nettamente contrario ad un intervento di forze militari esterne. Dunque il conflitto nord-sud resta per ora in bilico tra la possibilità di un intervento militare e i tentativi di una mediazione diplomatica. L’MNLA, come accennato sopra, si è già detto favorevole ad un dialogo col governo maliano. Il governo di Bamako, dal canto suo, fa sapere che il dialogo coi ribelli potrà incominciare soltanto se i Tuareg rinunceranno all’indipendenza dell’Azawad e Ansar Dine abbandonerà i territori occupati, condizioni che difficilmente i due gruppi in questione vorranno accettare.
Per via della sua complessità, la crisi si annuncia insomma destinata a durare ancora a lungo. Le mediazioni portate avanti sinora dalla CEDAO, che gode dell’appoggio di Stati Uniti ed Unione Europea, non sembrano essere all’altezza della situazione ed hanno portato a risultati piuttosto scarsi. Intanto si moltiplicano e si accelerano i disastrosi effetti di questa crisi sulla popolazione maliana** e su quelle dei paesi confinanti. Si stima che il conflitto nel nord del paese abbia già lasciato dietro di sé quasi 300.000 nuovi profughi, di cui circa la metà ha lasciato il Mali, fuggendo nei paesi vicini, Mauritania, Burkina Faso e Niger. L’”effetto domino” della crisi in Mali sta quindi creando una vera e propria crisi umanitaria in tutta l’area circostante.
In Burkina Faso sono stati attivati dei siti per l’accoglienza dei rifugiati nel nord del paese, nelle località di Ferrerio, Gandafobou, Mentao e Damba. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha dichiarato di aver potenziato l’assistenza ai cittadini maliani che giungono ogni giorno qui in Burkina Faso, in collaborazione con il partner governativo burkinabè CONAREF (Commissione Nazionale per i Rifugiati). Tuttavia, nonostante l’impegno di associazioni locali e ong internazionali, le condizioni dei rifugiati maliani restano drammatiche, in quanto la mancanza di strutture sanitarie e le insufficienti razioni di cibo e acqua, unite al caldo, li rendono più esposti alla contrazione di malattie. L’organizzazione Medici Senza Frontiere (MSF), attiva per fornire assistenza medica gratuita ai rifugiati e alla popolazione locale, denuncia le condizioni di vita nei campi profughi e fa appello alla comunità internazionale affinché si attivi al più presto possibile per far fronte a questa crisi. «Il Burkina Faso è, dopo la Mauritania, il Paese con il più alto numero di rifugiati in fuga dal Mali dove fornire assistenza medica è estremamente difficile e i rifugiati continuano ad arrivare di giorno in giorno mentre l'aiuto internazionale è lento e insufficiente. Chiediamo ai media italiani di accendere un riflettore su quest'area del tutto dimenticata, colpita pesantemente dalla siccità e dall'insicurezza alimentare», afferma Kostas Moschochoritis, presidente di MSF-Italia. Anche il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP) ha lanciato l’allarme sulla situazione dei maliani in fuga ed ha avviato un’operazione regionale d’emergenza al fine di rispondere ai loro bisogni.
L’arrivo di migliaia di profughi qui in Burkina Faso ha avuto un forte impatto sulla disponibilità, già alquanto scarsa, di risorse, causando carenza di acqua e di alimenti e rischi di malattie. Inoltre, la riduzione di risorse disponibili, combinata con l’aumento del prezzo del petrolio, ha dato luogo ad una netta inflazione, anche sui beni di prima necessità.
Dal canto suo, Blaise Compaoré, presidente del Burkina Faso dal 1987, fa buon viso a cattivo gioco e tenta di sfruttare a proprio favore le difficoltà della regione saheliana. Il suo governo si è da subito imposto come primo sponsor di una soluzione pacifica al conflitto maliano, assumendo, nella figura del suo ministro degli esteri, Djibril Bassolé, il ruolo guida nelle trattative tra Mali e CEDEAO. Grazie alla mediazione di Compaoré, sono poi stati rilasciati, nell’ultimo mese, due ostaggi occidentali in mano ad AQMI. La crisi in Mali è dunque per Compaoré un’occasione per aumentare il proprio indice di gradimento sia agli occhi dei burkinabé sia, soprattutto, sul palcoscenico internazionale.
Nel frattempo, però, la crisi alimentare e l’inflazione rischiano di accendere un malcontento popolare che, non solo qui in Burkina, ma in tutta la regione saheliana, potrebbe crescere notevolmente nei prossimi mesi.
*L’Azawad è il nome tuareg della regione che da Timbuktu si estende verso nord-est, comprendendo i due importanti centri di Kidal e Gao, e spingendosi fino al nord del Niger e al sud dell’Algeria.
**Il 16 maggio Amnesty International ha pubblicato un rapporto in cui denuncia la catastrofica situazione dei diritti umani che si sta verificando in Mali dall’inizio del 2012, la peggiore, a detta del rapporto, degli ultimi 50 anni.
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