COLLABORAZIONE Pastorale di Cormòns - Parrocchie di Borgnano, Brazzano, Dolegna del Collio e Cormòns
“Sahel: agire in fretta”, “Carestia nel Sahel: è corsa contro il tempo”, “Carestia nel Sahel: crisi ignorata, servono aiuti generosi”, “La carestia in Sahel è realtà”,... È da mesi ormai che titoli come questi preannunciano il peggio, dando un’idea della gravità dell’emergenza che si sta verificando in tutta la regione del Sahel, Burkina Faso compreso. Cerchiamo dunque di capire meglio insieme che cosa sta succedendo.
Si dice che tra i 16 e i 18 milioni di persone siano a rischio carestia nel Sahel, una carestia che colpirà la regione nei prossimi mesi, man mano che le riserve di ogni famiglia vanno esaurendosi. Ma come si è arrivati a questo punto? Le ragioni sono multiple. Nell’ultimo anno la produzione dei cereali è crollata di un quarto, a causa di piogge insufficienti o irregolari che hanno ridotto le risorse d’acqua per le produzioni agricole, e di cavallette e parassiti che hanno distrutto un terzo delle colture e danneggiato gli allevamenti. Inoltre il valore del bestiame sta crollando, mentre il prezzo degli alimenti di base e del carburante continua ad aumentare. Per mesi, questi indicatori non hanno fatto che peggiorare e dunque, entro poco, dovrebbe esplodere l’emergenza.
È da mesi che se ne parla, ma poco è stato finora fatto. Questa crisi del Sahel dunque è la cronaca di una tragedia annunciata, anzi stra-annunciata. Si spera che sia ancora possibile evitare che la situazione degeneri, anche se 7 milioni di persone soffrono già gli effetti della siccità. Secondo la FAO sono a rischio 5,4 milioni di persone (35% della popolazione) in Niger, 3 milioni (20%) nel Mali, 1,7 (10%) in Burkina Faso, 3,6 milioni in Ciad (28%), 850.000 in Senegal (6%), 713.500 in Gambia (37%) E 700.000 in Mauritania (22%). Da tempo ormai le popolazioni locali hanno iniziato a vendere gli animali e a muoversi alla ricerca di condizioni migliori. La situazione è inoltre aggravata dalla crisi politica in Mali dove il recente colpo di stato e il conflitto con i gruppi tuareg indipendentisti del Nord ha già provocato oltre 200.000 sfollati e profughi, che raggiungono principalmente il Burkina Faso ed il Niger.
I governi degli Stati più colpiti hanno dichiarato l’emergenza e fatto appello agli aiuti internazionali. Gli aiuti dai Paesi più ricchi e dalle organizzazioni internazionali, però, tardano ad arrivare, con un copione già visto nel Corno d’Africa dove, proprio l’indifferenza agli allarmi dati da tempo, ha provocato lo scorso anno la morte di oltre 100.000 persone. Se delle misure venissero prese ora, sarebbe ancora possibile evitare una grave crisi umanitaria e portare sollievo a queste popolazioni che sono già in una situazione grave. Molte famiglie, infatti, non hanno ancora superato le conseguenze della siccità del 2010 e i tassi di malnutrizione non accennano ad abbassarsi. La carenza di cibo ha costretto molte famiglie a sviluppare meccanismi di adattamento: ridurre il numero dei pasti, mangiare radici e foglie bollite in acqua, togliere i bambini dalla scuola o vendere gli animali e i beni per uso domestico a prezzi stracciati. Ora molte persone devono comprare il cibo necessario per sfamare la propria famiglia sul mercato locale. Ma con l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari - il prezzo del riso è raddoppiato rispetto allo scorso anno – ci si chiede come potranno le famiglie arrivare fino al prossimo raccolto in ottobre o novembre. È importante agire al più presto, facendo sì che i media parlino di quanto sta accadendo, affinché venga fatta pressione sui governi. Diverse ONG hanno lanciato dei programmi " denaro per lavoro” (cash for work) e “cibo per lavoro” (food for work) per la creazione di attività generatrici di reddito che aiuteranno le comunità a far fronte agli shock futuri. A questi interventi si aggiungono la distribuzione di cibo e sementi gratuite, o a prezzi agevolati, il rifornimento dei granai di riserva dei villaggi, l’assistenza sanitaria, degli interventi di riabilitazione idrica e azioni di riabilitazione nel medio termine per aumentare la capacità della popolazione di fronteggiare le avverse condizioni climatiche.
Bisogna agire presto, prima che le conseguenze della fame non segnino in modo permanente milioni di persone. Perché la fame non solo uccide, ma anche distrugge le capacità intellettuali, riduce il rendimento scolastico e rallenta la crescita economica. La fame è il rischio numero uno per la salute globale: con la fame, infatti, le medicine diventano meno efficaci, gli studenti non riescono a studiare e gli adulti sono meno produttivi. Risolvere il problema della fame equivale a promuovere lo sviluppo fisico e mentale delle prossime generazioni e costruire un mondo più forte, prospero e sicuro.
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